Dalla nascita fino a metà del 1800.
La prima scuola elementare pubblica venne istituita a Bussolengo su disposizione ministeriale e con delibera della Municipalità locale il 14 novembre 1803.
L’insegnamento, rivolto ai soli fanciulli maschi, e affidato ai Frati Minori Osservanti i quali, per una paga annua di 248 lire milanesi, istruiscono gli alunni nei locali del convento.
Contemporaneamente alla scuola pubblica e, forse, anche antecedentemente ad essa, funzionano in paese due scuole elementari private gestite l’una da don Gasparo Olivetti e l’altra dal maestro Luigi Vavottari. Questi ricevono il proprio compenso dai genitori degli alunni.
Una scuola privata è aperta anche a Pastrengo ove insegna il maestro Francesco Benfatti del fu Valentino. Non esiste scuola invece a Lugagnano. Qui non vi sono scuole di sorta alcuna – scrive don Francesco Coltri, parroco di Lugagnano – Non vi sono assegni per le scuole fatte dal Comune. Né da istruttori. Non vi sono benefici ecclesiastici portanti peso di scuole. Solo sotto titolo di carità il Parroco e un altro religioso va insegnando i principi alli fanciulli.
In tutte le scuole si insegna a leggere e a scrivere, tutte insegnano l’italiano e l’aritmetica, quasi tutte anche il latino.
I libri di testo sono l’Abbecedario, La calligrafia di padre Soave, I doveri dell’uomo del medesimo, il Libretto dell’abaco, Il catechismo del Regno d’Italia, gli Elementi della pronuncia, dell’ortografia, della lingua italiana di padre Soave.
Il metodo, unificato per tutte le scuole del Regno, è formulato dalle circolari ministeriali la prima delle quali è inviata il 15 marzo 1804 alle municipalità dal commissario straordinario del governo Mosca. In essa si ritrova la classica espressione insegnare ai fanciulli a leggere, scrivere e a far conti, si fa cenno al banco dell’onore per gli alunni meritevoli e all’esclusione di qualunque battitura per gli alunni da correggere.
Nel 1805, soppresso il convento di Bussolengo, i Frati vengono allontanati e la scuola pubblica è chiusa per mancanza di maestri. La Municipalità e i genitori ricorrono al Prefetto affinché siano lasciati a Bussolengo almeno padre Straizig (o Straiser) e il suo collaboratore, ma inutilmente. Non hanno esito neppure le successive petizioni del parroco e dei genitori né una più vantaggiosa offerta di stipendio da parte della municipalità. La scuola pubblica rimane chiusa per più di un anno.
Nel 1806 funzionano solo le scuole private: don Gasparo Olivetti ha 31 alunni, il maestro Vavottari ne ha 36 e il maestro Benati 11.
Nel 1810 viene chiesto al Sindaco di informarsi sulla possibilità di utilizzare il convento come sede del liceo, ma, avuta risposta che il convento è già affittato, il progetto non ha seguito.
In questo tempo non vi è istruzione per le ragazze che dovranno attendere la provvidenziale opera di don Giuseppe Turri. Solo nel 1842-43 don Turri, incoraggiato dal parroco, affiderà a suor Maniago Rosa, approvata maestra in terza classe elementare, il compito di radunare le ragazze vaganti sulla pubblica via e di tenirle raccolte.
Sono aperte due scuole per soli alunni maschi. In esse si insegna a leggere e a scrivere, si apprende l’italiano e l’aritmetica. Gli alunni sono 30 in una e 25 nell’altra. Il Podestà non specifica che la prima scuola elementare pubblica di Bussolengo è stata aperta il 14 novembre 1803 e i primi maestri sono stati i Frati del convento. Non precisa nemmeno che oltre alle due scuole pubbliche di Bussolengo e di Pastrengo esistevano a Bussolengo anche due scuole private mantenute con i soldi dei genitori degli alunni e i cui maestri erano don Gaspare Olivetti e il signor Luigi Vavottari. Nel comune vi sono due parrocchie e nessuna corporazione religiosa.
Del resto agli inizi del XIX secolo nel territorio italiano l’analfabetismo è intorno al 78%, con diversificazioni notevoli tra nord e sud; nel Veneto la percentuale è del 70%. L’istruzione è un privilegio e solo i ricchi possono permettersi un precettore, gli altri hanno la possibilità di frequentare le scuole pubbliche dove gli insegnanti a volte sono persone che non possiedono titolo di studio: è sufficiente che dimostrino di saper leggere e scrivere o di avere frequentato corsi professionali.
La scuola è gestita dal Comune che ha l’onere di fornire i locali e di reclutare gli insegnanti che sono mal pagati tanto da essere costretti a fare qualche altro lavoro per sopravvivere.
La frequenza alla scuola comunale è piuttosto bassa e saltuaria; durante i periodi di maggior lavoro nei campi, i ragazzi vengono sottratti ai loro doveri per dar una mano nei lavori agricoli.
Il 10 maggio 1838 viene denunciato un fatto verificatosi alle scuole elementari. Il maestro Federico Masetti per punire gli alunni li rinchiude, fuori dall’orario scolastico, in un’aula buia. I bambini impauriti gridano e alcuni abitanti sono costretti a sfondare la porta per liberarli.
L’edificio più piccolo dell’Ara della Decima fu usato agli inizi dell’Ottocento come scuola per gli alunni di sesso maschile. Era inizialmente una scuola privata per i figli di quelle famiglie che potevano pagare il maestro e divenne poi scuola pubblica. La sistemazione delle aule non era molto dignitosa.
In un documento del 16 giugno 1812 troviamo che la scuola consisteva in due stanzette e un soppalco, che servivano da aule per classi di circa settanta ragazzi. Gli alunni dovevano sedere su vecchie panche malridotte e leggere ad alta voce ciò che il maestro scriveva sulla tavola calligrafica. Non era prevista alcuna forma di riscaldamento delle aule durante l’inverno; anzi gli alunni erano esposti alle folate fredde che entravano dalle finestre senza vetri, mentre le imposte sbattevano al vento in quanto erano sprovviste dei fermi. Una nota di alcuni anni fa.
Collegio dei Derelitti e Discoli.
Fin dal 1840 don Turri ha acquistato dai Padri Filippini di Verona una casa (oggi villa Serena) con attorno alcuni campi e ha prospettato al comune di Verona la possibilità di costituire un istituto per derelitti e discoli con scuola e laboratori artigianali in modo da recuperare, attraverso il lavoro, quei ragazzi che, per situazioni familiari disagiate o per indole o carattere insofferenti delle regole civili, avessero un futuro carico di incertezze.
Il progetto però non ha seguito per difficoltà economiche del comune di Verona.
Nell’ottobre del 1855, don Turri si trova a Brescia per ultimare gli accordi con le Ancelle della Carità e per definire la loro venuta a Bussolengo, quando incontra padre Dossi al quale chiede di assumersi la direzione e il governo di un istituto per discoli e traviati. padre Dossi, della Congregazione dei Figli di Maria Immacolata (FMI) fondata da Lodovico Pavoni nel 1847 a Brescia (Pavoniani), accetta ben volentieri anche perché, essendo la Congregazione in difficoltà, vede nella proposta del Turri la possibilità di un rilancio dell’opera dei Pavoniani.
Padre Dossi è a Bussolengo il 7 novembre per accompagnare suor Maria Crocifissa di Rosa all’apertura del convento delle Ancelle e ne approfitta per valutare lo stato della casa.
Per fare bella figura, o forse per non deludere padre Dossi, don Turri fa trovare la casa ammobiliata. In realtà le suppellettili erano state prese in prestito e provvisoriamente sistemate nei saloni dell’Istituto.
Il 20 novembre 1855 si stipula la convenzione secondo la quale il Turri cede in uso gli immobili e una rendita di 2000 lire austriache e padre Dossi si impegna a gestire la casa accettando sei ragazzi presentati da don Turri. Dopo un anno di prova la proprietà dell’Istituto sarebbe passata alla Congregazione.
L’apertura ufficiale della casa viene fatta nel giorno della festa liturgica della Immacolata.
Incominciano ad arrivare i primi confratelli da Brescia, molti dei quali buoni artigiani, e i primi sei ragazzi, che diventeranno 30 nel 1858, anno in cui il vescovo di Verona, Riccabona, concede l’erezione canonica della Congregazione di Bussolengo.
Tra i confratelli troviamo fratel Cesare Vegetti, diventato sacerdote in età avanzata, che insegna ai discoli il lavoro di falegname. Padre Vegetti è una figura molto conosciuta in paese tanto da ricoprire la carica di consigliere comunale e membro della Commissione Ospedaliera. Diventa rettore della Casa dei Derelitti nel 1880.
A Bussolengo è presente anche fratel Luigi Monti, spirito tormentato e desideroso di fondare una sua congregazione con l’intento di dedicarsi agli infermi e agli orfani.
Istituto delle Ancelle della Carità di Brescia.
Don Turri, proprietario della casa in vicolo Venezia, dopo il fallito tentativo del 1847 di erigere un ospedale, istituisce una scuola femminile frequentata da più di novanta ragazze.
La scuola è sostenuta economicamente da don Turri in quanto né il governo austriaco né il comune di Bussolengo sembrano interessati a questa attività scolastica. A dirigere la scuola don Turri chiama la signorina Rosa Magnago che insieme alla maestra Maria Ferrari formano il corpo insegnante. La casa di vicolo Venezia comincia ad essere chiamata “il convento di don Turri” e le ospiti “le monache di don Turri” e non è da escludere che nella mente dello zelante sacerdote balenasse l’idea di creare una nuova congregazione monacale.
Non è facile reperire personale che si occupi della scuola ed il Turri ben presto si rivolge direttamente a suor Maria Crocifissa di Rosa, al secolo Paolina di Rosa, fondatrice delle Ancelle della Carità di Brescia per trovare sostegno.
Con lettera del 19 maggio 1852 chiede la disponibilità di alcune suore e descrive il fabbricato come funzionale e bello. La fondatrice accetta e chiede di essere messa al corrente della sua presenza a Bussolengo per incontrarlo e trattare la faccenda. Turri risponde subito fissando l’incontro per il 14 giugno e nell’occasione prega la Madre di accettare una vocazione fortissima di una giovane di condizione civile che parla e scrive bene in italiano francese e tedesco, sana di corpo e di 24 anni di età. È la signorina Rosa Magnago che entrerà poi nella congregazione delle suore Ancelle.
Nel 1853 suor Maria Crocifissa di Rosa si impegna con la dotazione dell’Istituto a mantenere quanto occorrerà alla casa di Bussolengo, senza aggravare il Comune.
Forse su suggerimento dello stesso Turri, la fondatrice scrive il 20 luglio 1855 alla deputazione comunale per chiedere la chiusura del vicolo Venezia che non mette che alle mie proprietà istesse… per fabbricar delle grandi stanze ad uso di scuole e di convitto. La richiesta dopo molte discussioni ed alterne decisioni non viene accolta per la protesta dei proprietari delle case prospicienti il vicolo.
Don Turri si reca a Brescia nel 1855 per prendere gli ultimi accordi e fissare il giorno per la inaugurazione del novello istituto.
Il 7 novembre dello stesso anno, suor Maria Crocifissa di Rosa arriva alla stazione di Sommacampagna accompagnata da altre consorelle, Ottavia Tedeschi vicaria generale, mons. Bianchini e don Dossi della Congregazione dei Figli di Maria Immacolata. Ad aspettarli c’è una carretta: due legni sgualciti e scoperti, poco opportuni per il freddo della stagione e d’altezza così straordinaria, da parere costruiti nel Medioevo.
Arrivati a Bussolengo, passando in mezzo a una gran folla di gente, si portano alla casa-convento di vicolo Venezia dove ad aspettarli ci sono varie personalità di Verona ed il vescovo di Senigallia. Dopo la messa don Turri invita tutti a pranzo.
Don Turri ha preparato tutto nei minimi particolari per fare onore alle Ancelle e per produrre una buona impressione: chiama un gruppo musicale ad allietare il pranzo e ordina alla Magnago di spargere sul pavimento tanti fiori in modo che, come poi ha riferito suor Maria Crocifissa di Rosa, tenendo gli occhi al pavimento, attratti dalla bellezza dei fiori, non si guardassero i soffitti che erano in malora.
Nel dicembre del 1855 muore suor Maria Crocifissa di Rosa.
Di lì a poco don Turri, a causa di una vertenza giuridica con alcuni parenti, si vede togliere i terreni sui quali faceva affidamento per il mantenimento dell’Istituto.
Poco dopo chiede alle Ancelle il poco mobilio presente nella casa per arredare le stanze di un altro istituto che nel frattempo aveva aperto. Senza mezzi per vivere e senza il necessario per l’abitazione, le Ancelle fanno ritorno a Brescia.
Don Turri ritorna alla carica negli anni successivi e con la promessa di una rendita annua e l’offerta di due sue case, convince le Ancelle che ritornano a Bussolengo il 26 novembre 1860. Viene riaperta la scuola femminile gestita gratuitamente dalle suore che offrono anche i locali del convento.
Nel 1880 il Sindaco chiede alla Madre Superiora delle Ancelle due suore come infermiere all’ospedale Orlandi. Madre Luigia Tedeschi risponde che metterà a disposizione due suore a partire dal 1° gennaio 1881 specificando che ogni suora dovrà percepire una lira al giorno e che l’ospedale dovrà fornire una camera per ogni suora con la biancheria del letto, le medicine e l’assistenza sanitaria e che le consorelle formeranno una sola famiglia con quelle già presenti a Bussolengo.
L’istruzione scolastica dopo l’Unità d’Italia.
L’istruzione scolastica, basata sulla legge piemontese Casati del 1859 ed estesa a tutto il territorio italiano, prevede l’istruzione elementare divisa in due gradi: elementari inferiori di due anni ed elementari superiori di altri due.
La scuola è obbligatoria, ma sono i comuni a dover reperire i locali, scegliere e pagare gli insegnanti. I comuni con almeno 50 ragazzi hanno l’obbligo di istituire una scuola, ma le risorse spesso non lo permettono.
A Bussolengo, sia durante il periodo napoleonico sia durante quello austriaco, le scuole hanno sempre funzionato grazie ad amministratori sensibili al problema.
Le scuole maschili, istituite nel 1806, sono formate da 60 ragazzi dai sei ai dieci anni e da 40 sopra i dieci anni. La classe prima e seconda elementare sono alloggiate in alcune stanze prese in affitto nel Seminario Vescovile. La terza classe è sistemata in un locale di proprietà del Comune. Il maestro, Luigi Brugnoli di 55 anni con patente governativa, percepisce uno stipendio annuo di 432,10 lire.
Le scuole femminili, nate nel 1854 grazie alla presenza delle Suore Ancelle della Carità di Brescia che offrono i locali e l’insegnamento a titolo gratuito, sono formate da 36 alunne tra i 6 e i 10 anni e da 20 sopra i 10 anni.
Le lezioni iniziano il 1° di novembre e terminano il 31 luglio. Il giovedì non si fa scuola, così pure il 24-25-26 dicembre e 6 giorni a Pasqua.
Esistono anche scuole private tenute da personale non qualificato: Augusta Dal Fior di 18 anni e Luigia Dalle Vedove di 60 anni gestiscono una scuola femminile; Maria Molinaroli di 37 anni accudisce i maschietti. Nessuna di queste è stipendiata dal Comune: ospitano i bambini nelle loro abitazioni con l’obbligo per ciascuno di portarsi la scranna da casa.
Le strutture dopo l’Unità d’Italia.
Le 150 alunne che frequentano le scuole elementari sono ospitate nelle aule del convento delle suore Ancelle della Carità in vicolo Venezia. Gli alunni delle scuole elementari maschili, per mancanza di spazi comunali, sono ospitati in stanze prese in affitto.
Per dare una risposta alla carenza di aule, il consiglio comunale nel 1873 decide di costruire un fabbricato ad uso scolastico. L’area che viene individuata è quella di proprietà di Luisa Girelli che si trova in piazza degli animali bovini di fronte alla chiesa (area attualmente situata in piazza Nuova a fianco agli uffici dell’anagrafe). Oltre alle aule si pensa di ricavare delle stanze per i Regi Reali Carabinieri che occupano le stanze, poste a sud, nel piano terra del municipio (erano due stanze attigue di cui una adibita a prigione e ora occupate dalla polizia urbana).
La delibera però resta per anni lettera morta: le finanze del Comune non lo permettono.
Nel 1878, su insistenza del Provveditore agli Studi, ritorna in Consiglio la proposta di costruire il fabbricato scolastico dando facoltà alla Giunta di determinare il luogo e di programmare le pratiche per l’esproprio e quelle per ottenere il sussidio governativo.
Intanto, per tamponare la situazione, si fa richiesta al rettore del Seminario Vescovile per ottenere la disponibilità di due aule nel fabbricato costruito dalla Diocesi di Verona per le vacanze estive dei seminaristi e posto nell’area del cortile dei Padri Redentoristi. Il rettore concede le aule per un canone annuo di 120 lire.
Fatte le pratiche per il sussidio governativo, nel 1880 arriva la comunicazione che il Ministero della Pubblica Istruzione ha concesso un contributo di 720,30 lire per la costruzione del fabbricato scolastico da corrispondersi dopo il collaudo della struttura da parte del genio civile. Il Comune però non ha ancora acquistato l’area. Si richiede allora nuovamente la disponibilità di aule per l’anno scolastico 1880-81 al rettore del Seminario Vescovile il quale risponde che concederà i locali al prezzo di 100 lire a condizione che venga permesso il passaggio gratuito sul ponte stabile di Pescantina durante le passeggiate dei seminaristi in villeggiatura nel periodo estivo.
La Giunta, trovando esagerata la richiesta, si attiva per sistemare alcuni locali di proprietà comunale.
Le aule non sono però adatte e il maestro delle classi elementari superiori (terza e quarta) don Angelo Bacilieri, ritenendole insalubri, propone di costruire almeno un’aula nel fabbricato Ara della Decima. Il costo stimato da un maestro muratore, interpellato dallo stesso Bacilieri, è di 427 lire.
Portata in Consiglio l’istanza, si obietta che non è possibile aderire alla richiesta per riguardo del progetto esistente della costruzione di un fabbricato adatto per tutte le scuole (maschili) che si dovrà mandare in effetto e la cui esecuzione sarebbe sollecita se il Comune per riguardo della fabbrica dell’ospedale non avesse assunto impegni che lo vincolano fino al 1887. L’idea di recuperare spazi scolastici nell’Ara della Decima viene rinviata.
Visto però che le casse comunali sono sofferenti e vedendo allontanarsi la realizzazione del nuovo fabbricato scolastico, si ritorna a discutere la proposta fatta dal Bacilieri. Il consiglio comunale, per risparmiare, nel discutere la richiesta fatta da un certo signor Serpini Scipione di Verona che chiedeva di affittare una parte del fabbricato comunale dell’Ara della Decima per adibirla a laboratorio di strami (pagliericci) nel quale sarebbero state impegnate più di cento donne, concede la parte a nord del fabbricato a patto che il Serpini contribuisca alla costruzione di un locale da adibire a scuola maschile. La proposta viene accettata anche dal Serpini.
Nel 1896 l’elevato numero di alunni rende necessario recuperare altri spazi. La scelta migliore sembra ancora quella di ricavare nuove aule all’interno dell’Ara della Decima. A proporre un nuovo intervento sul fabbricato è il consigliere Biscardo, membro della commissione di vigilanza dei Biscardo per convincere i colleghi della bontà della sua idea, propone di trasferire il consiglio in un’aula della scuola così che i consiglieri potranno vedere con i propri occhi.
Il 28 agosto 1896 il consiglio viene fatto nell’aula della scuola e, tutti d’accordo, approvano la soluzione del Biscardo.
L’Ara della Decima diventa così sede definitiva delle scuole elementari maschili fino alla costruzione delle nuove scuole elementari nel 1925 in località Citella.
L’annoso problema delle aule scolastiche, che si trascina ormai da decenni e che sembrava trovare una parziale risposta con l’acquisto di Villa Spinola, si presenta ancora all’attenzione del Consiglio perché si preferisce trasformare l’edificio di Villa Spinola in abitazioni per ammortizzare, con i proventi degli affitti, la spesa dell’acquisto.
Il progetto del nuovo fabbricato scolastico, dell’ing. Fraccaroli, viene discusso e modificato nella seduta consiliare del 5 dicembre 1923. Alcuni consiglieri propongono di ubicarlo in un’area del comune dove non sia necessario l’abbattimento di caseggiati, altri preferiscono costruirlo in località “Are” per la sua posizione incantevole.
La maggioranza dei consiglieri propende per la seconda ipotesi, ma tale scelta provoca in paese critiche e malumori tanto da indurre il Sindaco a rimettere in discussione l’argomento chiedendo di conoscere in proposito l’opinione della popolazione.
Si costituisce una commissione allargata che individua in località Citella, nello spazio a fianco di Villa Spinola, l’area destinata al nuovo fabbricato scolastico.
L’appalto viene affidato alla ditta Roncari-Rodella-Mastella e i lavori iniziano nell’autunno del 1924 e terminano alla fine del 1925. La nuova scuola entra in funzione con l’anno scolastico 1925-26.
Salvatore Zorzi nel 1909 vende un pezzo di terreno in località Piazzola all’arciprete don Angelo Bacilieri che aveva intenzione di istituire un asilo per l’infanzia.
Nella stipula del contratto, il Zorzi pone alcune condizioni: l’area deve essere adibita ad uso asilo infantile, la direzione dell’asilo spetta al parroco di Bussolengo e le istitutrici devono essere le suore Ancelle o altre religiose scelte d’intelligenza con il vescovo di Verona e nel caso anche una sola delle clausole venga disattesa, egli può recedere dal contratto e rivendicare l’immobile venduto.
Nel 1914 Bacilieri fa costruire un edificio su progetto dell’ing. Flaminio Fraccaroli, ma le vicende della guerra e le scarse finanze ritardano l’apertura dell’asilo.
Nel 1920 il parroco chiede alle Ancelle la disponibilità di alcune suore-insegnanti, ma non trovando risposta positiva si rivolge al fratello, cardinale Bartolomeo Bacilieri vescovo di Verona, perché interceda presso il fondatore delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, mons. Giuseppe Nascimbeni, affinché mandi tre suore all’asilo di Bussolengo.
Le suore arrivano a Bussolengo il giorno 11 dicembre 1920, anno in cui viene inaugurato e aperto l’asilo infantile.
Nel 1926 mons. Bacilieri scrive al podestà, Ettore Avesani, manifestando il desiderio di cedere il fabbricato dell’asilo al Comune: Sono vecchio e mi preme, prima di morire, vedere l’asilo messo bene e stabilmente avviato al più prospero avvenire.
Il Podestà delibera di accettare la donazione e di denominare l’asilo, in omaggio e segno di imperitura riconoscenza del munifico pio benefattore: Asilo Infantile Monsignor Bacilieri.
Viene modificato lo statuto e nominata una commissione comunale per la gestione dell’Ente.
Con l’aumento della popolazione e le nuove disposizioni sulle scuole materne, si rende necessaria la costruzione di un nuovo fabbricato mantenendo però l’intestazione e le finalità per le quali era nato.
Il vecchio fabbricato viene abbattuto nel 1983 per lasciare posto alla Casa Anziani.
Il parroco della frazione del Corno di Bussolengo, don Giuseppe Montresor, e la signora Angela Brugnoli hanno istituito una scuola privata per raccogliere i bambini e le bambine che abitano nelle zone Corno, San Vito, Bassona e località vicine appartenenti però al comune di San Massimo.
Poiché secondo la legge scolastica i comuni non sono obbligati a istituire scuole pubbliche se non in presenza di almeno 50 alunni, i due “maestri” chiedono al comune di Bussolengo, nell’aprile del 1877, utensili e attrezzature scolastiche ed un sussidio qualunque per le loro fatiche.
Il consiglio comunale, pur considerando che i due maestri sono sforniti bensì di legale e regolare abilitazione, non così però della cognizione più che sufficiente ad avviare al leggere, allo scrivere ed al far di conti i giovanetti e giovanette che frequentano quelle scuole e inoltre a tenerli lontano dall’ozio e dai vizi ed istruirli dei necessari elementi di moralità e civiltà, decide, prima di assegnare il sussidio, di approfondire l’argomento visto che su 65 alunni (30 maschi e 35 femmine) i due terzi appartengono al comune di San Massimo all’Adige.
Nel 1879 il Consiglio Provinciale Scolastico raccomanda che la scuola in località Corno venga regolarizzata a norma di legge istituendo due scuole (una maschile e una femminile) oppure una scuola mista in collaborazione con il comune di San Massimo e con insegnanti patentati.
Gli amministratori di Bussolengo fanno presente che non sono tenuti a regolarizzare la scuola della frazione in quanto la popolazione scolastica appartenente al Comune non raggiunge il numero sufficiente, ma soprattutto che le finanze non consentono spese per nuove scuole.
Per alcuni anni la scuola mista in località Corno funziona, ma poi, per il mancato pagamento della quota spettante al comune di San Massimo, le lezioni vengono sospese.
Il Provveditore agli Studi ripropone la questione nel 1897, invitando i comuni interessati (Bussolengo e San Massimo) a discutere sulla riapertura della scuola mentre alcuni padri di famiglia, con una petizione, chiedono l’istituzione di una scuola regolare con maestri abilitati. La risposta è sempre la stessa: si accetta di dare un sussidio se il comune di San Massimo fa altrettanto, ma di scuola regolare non se ne parla per mancanza di fondi, ma soprattutto perché il Comune non è tenuto a istituire scuole regolari, mancando il numero legale di alunni.
Resta la convinzione che possa bastare una scuola “irregolare” condotta da persone sufficientemente istruite e capaci di impartire un po’ di istruzione a quella gioventù.
Il problema viene dibattuto più volte dal consiglio comunale e da amministrazioni diverse che però mantengono le stesse posizioni anche di fronte alle insistenze sia del Provveditorato sia del Consiglio Provinciale Scolastico.
Nel 1899 ritorna alla carica il parroco del Corno, don Giuseppe Montresor, con una istanza a nome degli abitanti della frazione per una scuola mista, ma il Comune risponde che non è obbligato e che costituirebbe un pericoloso precedente tale da indurre i “frazionisti” dei Monti e di Ca’ di Capri a richiedere l’istituzione di una scuola nelle rispettive frazioni.
Finalmente la questione sembra risolta quando il Prefetto con un suo decreto istituisce una scuola mista fuori classe in contrada Corno con la nomina d’ufficio di una maestra patentata.
Gli amministratori però non ci stanno a questa imposizione coatta, ribadendo le motivazioni del diniego, e decidono di ricorrere al Governo del Re per l’annullamento del decreto.
Siamo all’inizio del 1900 quando il Ministero della Pubblica Istruzione dà ragione al Comune perché il numero degli alunni necessario per l’istituzione di una scuola deve intendersi appartenenti allo stesso Comune. In frazione Corno rimane la scuola mista irregolare.
Come abbiamo visto la scelta dei maestri è di competenza del consiglio comunale il quale dopo aver bandito il concorso si riunisce in seduta segreta per analizzare i documenti e le “raccomandazioni”.
Le candidate sono: Geltrude Righetti, Clorinda Zucco, Bruna Ebe Girelli, tutte regolarmente patentate.
Geltrude Righetti presenta solo un certificato rilasciato dal comune del Trentino che a parere del presidente (il sindaco Salvatore Zorzi) non parrebbe largo di lodevoli attitudini.
Clorinda Zucco non presenta documenti, ma è raccomandata da diciotto firmatari della contrada Corno e da una istanza del comune di San Massimo presentata da quarantotto persone (la Zucco era la maestra imposta d’ufficio dal Prefetto per la scuola del Corno).
Ebe Girelli ha come referenze un certificato del sindaco di Negarine.
Il Sindaco appoggia la candidatura della Zucco sia perché con tanta fatica e tanti sacrifici, priva di materiale e ricoverata in un locale qualunque già da un anno insegna ai giovanetti della contrada, sia perché bisognosa del sussidio per mantenere se stessa e la madre che vive sulle risorse della figlia.
Viene letto il memoriale prodotto dagli abitanti del Corno e le raccomandazioni scritte del comm. Antonio Cartolari, del parroco di Sant’Eufemia e del rettore di Santa Maria della Scala.
La candidata Geltrude Righetti è invece sostenuta dal consigliere Guarienti il quale da prima tesse gli elogi della sua assistita, che diede prova di qualità morali ineccepibili durante i cinque mesi di supplenza, e poi cerca di ridimensionare le caratteristiche della Zucco: ancorché raccomandata, né nell’istruzione, né nella moralità ebbe a dar prova ineccepibile tanto che nel Comune di Breonio fu costretta a dimettersi per non avere un licenziamento motivato e che le raccomandazioni sia dei parroci che del Comm. Cartolari non possono che essere accolte che in via generica e per quel che possono valere.
Il Sindaco contesta le riflessioni del consigliere Guarienti e aggiunge che quando non si abbia a credere ai parroci e al Comm. Cartolari che con tanto di scritto appoggiano la Zucco, molto meno sono attendibili le verbali dichiarazioni non convalidate da scritti o altra forma.
La povera candidata Bruna Girelli, non avendo “padrini”, viene a trovarsi fuori della discussione. Si arriva alla votazione: la Righetti ottiene 9 voti favorevoli e 3 contrari; la Zucco 3 favorevoli e 6 contrari come la Girelli.
Geltrude Righetti viene nominata maestra della scuola mista irregolare del Corno.
La scuola dei Zamboni.
I ragazzi in età scolare che abitano in località Ca’ di Capri e Zamboni frequentano, a seconda di dove abitano, le scuole del capoluogo oppure le scuole di Sona o Lugagnano che si trovano ad una distanza di circa 3-5 Km dalle abitazioni.
Nell’anno scolastico 1937-38 gli alunni sono 119, un numero sufficiente per giustificare la richiesta dei genitori per la costruzione di una scuola in quella zona. Il Podestà con delibera 5 marzo 1938 chiede l’istituzione di una scuola di Stato comprendente le tre classi inferiori per rendere più agevole la frequenza degli alunni e per andare incontro al desiderio dei genitori preoccupati della sorte dei figli costretti a percorrere lunghi tratti di strada pericolosi.
Il terreno su cui edificare la scuola viene donato dal grande ufficiale Attilio Rossi di Verona il 19 aprile 1929.
I maestri delle scuole maschili.
Gli insegnanti sono pochi sia perché chi ha disponibilità economica per assicurarsi l’istruzione aspira a professioni più qualificanti, sia perché lo stipendio degli insegnati è a livelli così modesti da costringerli ad arrotondare il magro introito con lavori alternativi. Gli unici che possono “permettersi” di insegnare sono i preti i quali hanno titoli più che sufficienti per assolvere al compito.
La carenza di docenti costringe i comuni a nominare persone di specchiata moralità e che avendo frequentato qualche corso di qualificazione professionale (falegnami, sarti, fabbri) hanno acquisito i rudimenti nel leggere, nello scrivere e nel far di conto. E proprio nel 1877, per invogliare qualche giovane a intraprendere la carriera dell’insegnamento, il prefetto Ciampi emana una circolare con la quale fa appello ai comuni di concedere agli alunni che siano adatti per ingegno sveglio, specchiata moralità, robustezza di salute, efficace volontà un sussidio per tre anni, con l’obbligo di recarsi nel capoluogo della provincia a compiere il corso magistrale.
A Bussolengo, dopo l’unificazione, gli insegnanti per le scuole maschili sono due: Luigi Brugnoli per le classi prima e seconda (elementari inferiori) e il sacerdote don Bernardo Bottura per le classi terza e quarta (elementari superiori) che per l’età avanzata viene sostituito nel 1874 da don Angelo Bacilieri, confermato definitivamente come maestro delle classi superiori nel 1876.
Gli stipendi dei due insegnanti sono rispettivamente di 600 e 800 lire (per avere un confronto basti dire che lo stipendio annuo di uno stradino è di circa 300 lire, quello del segretario comunale si aggira intorno alle 1500 lire mentre quello del medico condotto intorno alle 3500 lire).
Il 9 giugno 1880, all’età di 64 anni, muore il maestro Brugnoli dopo una lunga malattia. Lo sostituisce temporaneamente Nereo Barbieri (aspirante segretario).
Il consiglio comunale nella seduta del 29 settembre mette all’ordine del giorno la nomina del nuovo insegnante per le classi maschili inferiori.
Il Sindaco esordisce dicendo che si trova l’erudito giovane di questo paese, Vigilio Turri, il quale fornito di patente che lo abilita all’insegnamento delle elementari di grado inferiore; è pure fornito di splendida patente per l’insegnamento di grado superiore. Egli ha pure il corredo di una serie di altri documenti rilasciati specialmente dal collegio Artigianelli di Verona, dal collegio Principe di Napoli, dove prestò i propri servigi nella qualità di maestro.
La Giunta propone l’assunzione provvisoria per un anno del maestro Turri Vigilio per le classi preparatorie prima e seconda elementare salvo di riconfermarlo nel venturo anno, corrispondendo al medesimo lo stipendio annuo di lire 715,00.
L’anno dopo si affianca al maestro Turri un assistente perché gli alunni frequentanti sono più di 100 (la legge prevede classi con un massimo di 70 alunni). Non essendoci insegnanti disponibili si dà l’incarico al giovane Angelo Ganassini fornito di amorevolezza, pazienza e zelo.
L’ispettore scolastico però invita il Consiglio alla nomina, in sostituzione di Ganassini, di un insegnante provvisto di abilitazione aggiungendo che sarebbe da preferire una maestra in quanto l’esperienza insegna che la donna è più adatta all’insegnamento in quella età.
Il Consiglio recepisce il suggerimento e nomina la maestra Flaminia Saletti.
Nel 1893 don Angelo Bacilieri, nominato parroco, dà le dimissioni da maestro e viene sostituito da don Pietro Silvestrini detto El Maestrin.
In seguito a una circolare del Ministero della Pubblica Istruzione con la quale si impone che ogni scuola sia dotata di un campiello per i primi rudimenti ed esperimenti agricoli, la Giunta presieduta dal sindaco Salvatore Zorzi, delibera di assegnare 82,25 lire per la sistemazione del cortile dell’Ara della Decima e l’acquisto di strumenti agricoli (zappe, badili, rastrelli e forche), di piante e sementi.